Famiglia e Disabilità, in “viaggio” con il suo terapeuta

Famiglia e Disabilità, in “viaggio” con il suo terapeuta

In tanti anni di lavoro con le famiglie che hanno un figlio disabile, mi sono  chiesto spesso quale fosse il tipo d’intervento terapeutico più efficace, quello che più potesse aiutarli, in tempi ragionevoli, a sostenere il percorso riabilitativo del proprio figlio.

La risposta più convincente, l’ho trovata ripercorrendo alcune tappe, più chiarificatrici, della storia di alcune  famiglie seguite in questi anni.

Il pensiero terapeutico deve nascere dall’incontro e dal confronto del terapeuta con la famiglia, che deve capire quanto può “fidarsi ed  affidarsi” a lui.

Nel percorso di lavoro, che poi altro non è che un “viaggio condiviso nelle emozioni”, si incontrano diverse tappe che segneranno il cammino del lavoro e della famiglia, e nell’accompagnarvi in questo “viaggio”,  ci sarà di compagnia e d’aiuto, anche un nostro piccolo amico con le sue riflessioni.

La fiducia

Mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava.
Ma mi risposero: “ Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” .

Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante.
Ho conosciuto molte persone importanti nella mia vita… Quando ne incontravo una che mi sembrava  di mente aperta, tentavo l’esperimento del disegno: cercavo di capire se era veramente una persona comprensiva… (Dal Piccolo Principe)

Ecco, una persona comprensiva.
La famiglia cerca nel terapeuta colui che comprende e non giudica, neanche i vissuti più devastanti e distruttivi.

È per la capacità di accogliere l’altro nel suo antico dolore, di accompagnarlo per mano per non lasciarlo solo, di essere complice nella ricerca della possibili soluzioni del problema, che la famiglia si affiderà a noi.

Questa è la prova più significativa, è qui che si deciderà il destino del futuro lavoro terapeutico.

L’Empatia

Un giorno ho visto il sole tramontare 43 volte! … Sai… quando si è molto tristi si amano i tramonti…”
“Il giorno delle 43 volte eri tanto triste”. Ma il piccolo principe non rispose” .
(Dal Piccolo Principe)

Entrare nel vivo del lavoro terapeutico, significa “essere dentro” la storia familiare, partecipare e capire conoscerli, i loro vissuti, emozionarsi insieme. E rimanere comunque con la giusta distanza terapeutica, senza fondersi o confondersi. Leggere oltre i contenuti, saper cogliere le emozioni, quelle “raccontate” e quelle nascoste.

L’Ascolto

“Disegnami una pecora…”
Non avevo mai disegnato una pecora e allora feci per lui uno di quei disegni che avevo fatto tante volte: quello del boa dal di dentro; e fui sorpreso di sentirmi rispondere: No, no, no! Non voglio l’elefante dentro il boa. Il boa e’ molto pericoloso e l’elefante molto ingombrante”. “Per piacere disegnami una pecora…”.
“Questa è soltanto la sua cassetta. La pecora che volevi sta dentro”.  Fui molto sorpreso di vedere il viso del mio piccolo giudice illuminarsi.
(Dal Piccolo Principe)

La famiglia è luogo della sofferenza legata al disagio del proprio figlio, ma anche luogo dove sono custodite le risorse per la cura. I comportamenti espressi hanno radici nel passato e trovano uno spazio ed un tempo nelle relazioni del presente, delineando nel contempo, il loro vivere futuro. Così per comprendere il presente abbiamo bisogno di incontrarli nei luoghi del loro passato, nel crogiuolo delle loro emozioni.

La Condivisione

La famiglia che incontriamo nel cammino terapeutico, ci conduce nella propria “metafora relazionale” e ci accoglie all’interno della sua storia. E qui possiamo e dobbiamo decidere “il come” partecipare alla sua storia.

La costruzione dei legami affettivi e la loro evoluzione sono legate alla possibilità di trovare la giusta distanza da questi antichi vincoli, così travolgenti, della propria storia familiare. Dalla  diversa  lettura  della trama e delle scene  familiari, si giunge alla proposta di un nuovo copione, più funzionale alla famiglia ed alla persona in trattamento riabilitativo.

Dott. Massimo Olivieri 
Psicoterapeuta

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